Con sentenza del 27 marzo scorso il Consiglio di Stato ha dichiarato che
le benedizioni a scuola nel periodo di Pasqua, se facoltative e organizzate al di fuori dell’orario scolastico,
sono da ritenersi legittime. L’alto consesso amministrativo ha in questo modo accolto il ricorso del ministero dell’Istruzione e ribaltato la precedente decisione del Tar Emilia-Romagna, che aveva invece annullato la delibera con cui un consiglio di istituto di Bologna le aveva autorizzate, nel 2015.
Secondo i giudici il rito della benedizione non può “in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale” e questo “non diversamente” da altre attività ‘parascolastiche’ che, oltretutto, possono essere programmate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole anche senza una formale delibera”.
Per il Consiglio di Stato chi intende praticare il rito, “ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall'orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso”. Inoltre “non può logicamente attribuirsi al rito delle benedizioni pasquali”, con i limiti stabiliti in questo caso, “un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività 'parascolastiche' non aventi alcun nesso con la religione”.
Nella sentenza si legge ancora: “c'è da chiedersi come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti” ad attività culturali, sportive o ricreative “mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell'orario scolastico”.
I giudici aggiungono quindi che “per un elementare principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un'attività, una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima”.
(Consiglio di Stato, VI sez., sentenza n. 1388 del 27/3/17)