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Omelia pronunciata a Marzabotto (Bo) in occasione della Messa in suffragio delle vittime delle stragi di Monte Sole nell'80° anniversario
Ogni domenica è la vittoria della luce sulle tenebre, perché viviamo l’amore fino alla fine di Gesù, l’alleanza nuova e eterna che stringe il legame di un amore più forte della morte. Questa domenica di memoria così particolare ci immerge ancora di più nel dolore dell’umanità colpita, delle vittime il cui orrore non cambia. L’amore si trasforma e trasforma. Il male è sempre lo stesso. Sentiamo oggi il grido disperato, il pianto, l’odore di sangue e di polvere da sparo, lo scherno dei soldati tedeschi che derubavano i morti e la soddisfazione dei collaboratori fascisti per il nemico eliminato. Il nemico erano bambini, vecchi, donne, inermi. La memoria e il tempo di Dio ci aiutano ad entrare dentro il nostro tempo, ci chiedono di non vivere inconsapevoli come se ci fosse sempre tempo, spensierati o disperati, ossessivamente preoccupati della felicità individuale, del personale benessere a tutti i costi. La domenica è giorno di speranza vera, perché contempliamo l’amore di Dio che sconfigge il male, la vita che ritrova sé stessa, il mondo come Dio lo ha pensato. Chi crede nel Risorto ama la vita e combatte il male, ama, e ama come Gesù fino alla fine. Gesù ha vinto il male, tutto, anche quello che diventa sistema, ideologia, quello banale dell’istinto e dell’egoismo, quello della pandemia di morte, che colpisce tutti e genera tutti i mali. Ci chiede di vincerlo con Lui, fidandosi del suo amore e amando come Lui. Ci aiuta don Giovanni Fornasini, rimasto qui per amare, perché l’amore per la sua gente fu più forte della paura e anche del consiglio prudente del suo Vescovo. È stato così per Antonietta Benni, maestra, consacrata, che aveva aperto la sua casa per accogliere le famiglie di sfollati che giungevano dalla valle. Antonietta continua a dare una lezione cristiana e umana di perdono ma anche di giustizia più forte della vendetta e, proprio per questo, inflessibile nell’esigerla. E viene da chiederci se abbiamo perdonato e se abbiamo cercato la giustizia riparando così al male. Abbiamo fatto troppo poco tutte e due! E il seme del male non è mai sconfitto, anche quando sembra inerte. Le tenebre entrano nel cuore degli uomini, ne spengono la speranza, riempiono di smarrimento, paralizzano con la tristezza e la malinconia o imprigionano nel passato con la rabbia, l’odio, la vendetta. Si ripresenta poi con il pregiudizio o con l’idea colpevole di combattere il male con il male, mentre si diventa così seminatori di morte e di altro male, senza vincerlo anzi decidendo la propria sconfitta perché la ricerca forsennata dell’occhio come reciprocità non solo non fa recuperare il proprio ma fa perdere anche l’altro, moltiplicando solo la sofferenza e facendo crescere il male. Il male si vince con l’amore, solo con l’amore che significa anche giustizia e pace, lotta alle cause che quel male lo hanno permesso, comprensione delle complicità, spesso insidiose perché invisibili, con l’apparenza di innocenza e la presunzione della ragione, mentre non sono meno responsabili di chi lo ha attuato.
Pensando alle vittime la domanda sempre inquietante e aperta è come sia stato possibile che il male si sia impadronito delle menti, dei cuori, delle mani delle persone, da, come disse Papa Benedetto XVI “un gruppo di criminali” che aveva raggiunto “il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato e abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio”? Come avviene? Come non permettere che avvenga di nuovo? Allora la domanda non è dove è Dio, perché – lo sappiamo – stava e sta con le vittime innocenti, lui vittima innocente sulla croce, ma dove è finita l’umanità e perché non ascoltiamo la voce di Dio che è quella delle vittime ma anche quella che indica l’amore? Come è possibile che tanta intelligenza, cultura, sapienza umana diventi incapace di resistere, che i valori e i veri diritti umani vengano calpestati, che scompaia la pietas tanto da uccidere innocenti freddamente, godere della sofferenza, oltraggiare i morti? Chi costruisce la croce e chi inchioda ad essa non è Dio, che anzi ci finisce appeso, ma è l’uomo, vittima e complice di quel mistero di iniquità che acceca tanto che l’odio e la violenza arrivano a togliere il diritto fondamentale di vivere. Gesù è sceso all’inferno per aprirlo, per liberare, per divellere le porte aprendo la via della salvezza, dell’amore più forte della morte, della parola vita e non dell’ultima parola morte. Noi, che crediamo nel Risorto scendiamo con Lui dove c’è sofferenza e morte per portare luce dove ci sono le tenebre.
Ecco, da questo luogo di morte e di vita, di tenebre e di luce scendiamo oggi nelle tante Marzabotto che in realtà non sono solo i singoli drammatici episodi, ma è la guerra stessa che è una grande unica strage, inutile, da ripudiare sempre e per tutti, alla quale mai abituarci. “Il tragico sonno di tante vittime tenga sveglio nelle generazioni superstiti e successive l’ammonitrice memoria del terribile dramma che non deve ripetersi più!”, disse Paolo VI. Alle vittime dobbiamo lo sforzo di cercare con maggiore determinazione la pace, non di rassegnarci pigramente alla guerra e al riarmo e dotarci di strumenti capaci di risolvere i conflitti. È proprio vero che se non avvertiamo la realtà del pericolo non potremo superarlo. Davanti al male Gesù chiede di combatterlo anzitutto cambiando noi stessi, tagliando quello che dà scandalo al prossimo, anche se pensiamo assurdamente che sia esibizione di forza. Se fa male al prossimo fa male anche a noi e scandalizza. Siamo noi a perdere la salvezza, ce ne escludiamo. Tagliamo il male per ritrovare la vita. I Padri fondatori dell’Europa seppero immaginare la pace trasformando i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione, tagliando sovranità per una che univa tutti. Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. È necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. “La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando. La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana”, disse Paolo VI. Per questo oggi evochiamo i Padri fondatori dell’Europa. “Essi – spiegava ancora Paolo VI – seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni”. Per questo è importante la visita dei due Presidenti che onorano assieme le vittime della guerra. È la riconciliazione che inizia dalle proprie responsabilità e sconfigge le convinzioni di superiorità, le ostilità mute ma radicate, l’ignoranza che facilmente fa crescere l’odio. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Le vittime ci chiedono di riconoscere il male come male e rifiutarlo. Come disse Papa Benedetto, “vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male. Vogliono portarci a quei sentimenti che si esprimono nelle parole che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all’orrore che la circonda: ‘Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare”. Immaginiamo la pace, allora, costruendo la rete di contati e alleanze che può portarla, sempre insieme a sua sorella giustizia e sempre consapevoli che “l’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità’”.
Preghiamo con Papa Paolo VI: “Signore, Dio di pace, che hai creato gli uomini, oggetto della tua benevolenza, per essere i familiari della tua gloria, noi ti benediciamo e ti rendiamo grazie: perché ci hai inviato Gesù, tuo Figlio amatissimo, hai fatto di lui, nel mistero della sua Pasqua, l’artefice di ogni salvezza, la sorgente di ogni pace, il legame di ogni fraternità. Noi ti rendiamo grazie per i desideri, gli sforzi, le realizzazioni che il tuo Spirito di pace ha suscitato nel nostro tempo, per sostituire l’odio con l’amore, la diffidenza con la comprensione, l’indifferenza con la solidarietà. Apri ancor più i nostri spiriti e i nostri cuori alle esigenze concrete dell’amore di tutti i nostri fratelli, affinché possiamo essere sempre più costruttori di pace. Ricordati, Padre di misericordia, di tutti quelli che sono in pena, soffrono e muoiono nel parto di un mondo più fraterno. Che per gli uomini di ogni lingua venga il tuo Regno di giustizia, di pace e d’amore. E che la terra sia ripiena della tua gloria! Amen”.
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