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«Non rassegniamoci alla paura, dobbiamo costruire insieme»
Intervista rilasciata ad Avvenire

si allargano le maglie dell’abbandono? C’è un vuoto normativo, ci dice la Consulta, ebbene non riempiamolo tanto per riempirlo. Vedo un bisogno di chiarezza, di confronto, di dialogo che apra percorsi di mediazione possibile, di bilanciamento tra la dignità di ogni condizione di vita e la criticità concreta di chi si trova in questo passaggio.
Su tanti temi drammatici l’Europa sembra afona.
Sì e pensiamo anche a come non aiuti l’Italia nell’affrontare il tema dell’emigrazione. E poi speriamo che la prossima Commissione scelga di difendere le radici più profonde e vere dell’Europa che significano anche il ripudio della guerra e la scelta di trovare vie di soluzione alternative ai conflitti. Continuo a pensare che è necessaria una “Camaldoli per l’Europa”.
Come sta la Chiesa italiana, anche lei in cammino sinodale?
La salute della Chiesa italiana dipende anche dalla salute spirituale di ognuno. La Chiesa è comunità. Lo siamo ancora troppo poco e una proposta individualista ha allontanato tante persone dalla Chiesa. Sento però anche tanta passione e tante energie positive, tanta cura per la fragilità, pensarsi insieme e non isolati e pieni di paure. Mi sembra che come a Trieste c’è insieme spirituale e attenzione alla storia, al servizio al prossimo. Lo spirituale non è un’altra dimensione, ma è personale, intima e fraterna allo stesso tempo e chi cerca Dio incontra il prossimo, non cerca una vita che non esiste o importante se risponde ad un modello di prestazione e successo! Lo spirituale rende la vita benedetta anche se fragile e debole come è sempre.
Che ruolo punta ad avere nella società italiana, al centro di un processo di secolarizzazione che sta accelerando?
Il ruolo della Chiesa non è tanto quello di contrapporsi ai processi culturali, ma di sapere cogliere in questi la domanda umana e spirituale. La secolarizzazione spegne il desiderio, la sete, la nostalgia? Non è una domanda di maggiore prossimità?  Non dobbiamo in tanta indifferenza e egocentrismo innestare “la gioia del Vangelo”, come ripete Papa Francesco? Dobbiamo con la nostra vita personale, con l’attenzione al prossimo, dire che non sta bene l’individuo quando si chiude e il mondo diventa una stanza o coincide con il mio io e che la vita evangelica e di comunità è una vita più bella, più piena di amore, più individuale perché legata al prossimo e a Dio.
Prima ha citato la Settimana sociale di Trieste, che ha mostrato incoraggianti segnali di vivacità e passione civile: come li legge?
La Settimana Sociale è stata un dono di grazia. La presenza di Papa Francesco e quella del Presidente Mattarella hanno spiegato il significato dell’impegno per la partecipazione: «Per definizione – ha ricordato il Presidente – democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme». Mi hanno colpito tanti credenti, anche giovani, che nel nostro Paese non si rassegnano alla crisi della democrazia. Sono tante tante le esperienze vive di solidarietà, di cura degli altri, che agiscono quotidianamente e che in modo creativo incidono sul volto delle nostre comunità. Il cattolicesimo italiano ha sete di partecipazione perché è già all’opera nel profondo della nostra società e questa è l’eredità che ci portiamo con noi da Trieste. E credo che sentiamo la responsabilità in un momento di tanta crisi di partecipazione e di democrazia.
C’è voglia di mettersi in rete, in un livello che stia un po’ oltre il prepolitico e prima del partitico: vede spazio per  un’iniziativa, plurale, dal basso?
Ogni opportunità di creare reti di dialogo è benvenuta. I legami, qualunque essi siano, non crescono mai per comando o sotto dettatura, ma necessitano sempre di partire dal basso. Mai come in questo momento avvertiamo il terreno fertile per superare steccati e per offrire atteggiamenti costruttivi.
Un’ultima domanda sul dramma del sovraffollamento carcerario, dei suicidi: è il momento di intervenire con misure forti come amnistia e indulto?
I suicidi in carcere chiedono ascolto: la disperazione non può avere come risposta l’indifferenza. Le pene carcerarie – non a caso al plurale nella Costituzione – devono riparare la persona e la società. Recidiva zero era il titolo di un recente convegno del CNEL. Mi auguro si possa continuare in quella direzione.